Indianizzazione del Sud-est asiatico

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Sfera culturale indiana. * In arancione scuro il subcontinente indiano (India, Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka, Maldive, Nepal e Bhutan. * In arancione chiaro gli altri Paesi culturalmente legati all'India, in particolare Birmania, Thailandia, Cambogia, Laos, Vietnam, Indonesia, Malesia, Brunei e Singapore. * In giallo le regioni con una significativa influenza culturale indiana, in particolare Afghanistan, Yunnan cinese, Tibet e Filippine.

L'indianizzazione del Sud-est asiatico si riferisce alla portata storica che ha assunto la cultura dell'India ad est del subcontinente indiano. Ciò riguarda in particolar modo la diffusione dell'induismo e del buddhismo dall'India al Sud-est asiatico da parte di viaggiatori e commercianti marittimi tra il V ed il XV secolo attraverso la via della seta. Furono inoltre introdotti nella regione sistemi di scrittura indiani come l'alfabeto Pallava utilizzato dalla dinastia Pallava dell'India meridionale.[1][2]

Tale fenomeno coinvolse anche l'Asia centrale e orientale. Ad esempio l'Impero Gupta, che dominò il nord del subcontinente indiano, fu strumentale nella diffusione dell'alfabeto siddham in Cina e in Giappone.[3][4]

Il termine vuole inoltre descrivere l'istituzione di regni nel Sud-est asiatico che si rifacevano a modelli di civiltà indiane con la diffusione della loro forma di scrittura, architettura, organizzazione sociale ed amministrazione[5][6]. Ad ovest questa "Grande India" si sovrappone parzialmente con il mondo iranico o "Grande Persia" nelle catene montuose dell'Hindu Kush e del Pamir.

La definizione è infine correlata alle incertezze topografiche che circondano le Indie orientali durante l'epoca delle esplorazioni geografiche intraprese dagli europei.

Definizione e nomenclatura

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Nell'Europa medioevale il concetto delle "tre Indie" era di comune circolazione. L'India maggiore era rappresentata dalla parte più a sud dell'Asia meridionale, l'India minore ne veniva a costituire la parte settentrionale, mentre l'India di mezzo era la regione del vicino Medio Oriente[7]. Il nome "Grande India" (in lingua portoghese "India Maior"[8][9][10][11]) è stato usato almeno dalla metà del XV secolo[9] in poi.

Il termine, che pare esser stato utilizzato con una precisione via via variabile[12], a volte significava solamente "subcontinente indiano"[13]; gli europei utilizzavano una varietà di termini per definire le regioni relative all'insieme dell'Asia meridionale e per designare la penisola del Sud-est asiatico tra cui "Alta India", "Grande India", "India esterna" e "India d'acque"[14].

Purtuttavia, in alcuni resoconti di viaggi nautici europei, la Grande India (o India Maggiore) si estendeva dalla costa del Malabar (oggi situata in Kerala) fino all'India extra-gangetica[15] (l'India al di là del fiume Gange), ma solitamente le Indie orientali, vale a dire la zona corrispondente all'attuale arcipelago malese, mentre l'India minore si spingeva dalla regione del Malabar fino al Sindh[16]. Il nome di "India lontana" è stato a volte usato per coprire tutte le moderne regioni del Sud-est asiatico mentre, altre volte, solo la loro parte continentale[14].

Alla fine del XIX secolo, la Grande India riferita all'Hindustan (nord-ovest del subcontinente) comprendeva la regione del Punjab, l'intera catena montuosa dell'Himalaya estendendosi verso est in direzione dell'Indocina (compresa la Birmania), parti dell'Indonesia (cioè le isole della Sonda, il Borneo e Celebes) e le Filippine[17]. Gli atlanti geografici tedeschi a volte distinguevano l'India anteriore (la penisola meridionale) e l'India posteriore (il Sud-est asiatico)[14].

Secondo il modello della tettonica delle placche, con la collisione tra la placca indiana e l'Asia, "Grande India" viene a significare il subcontinente indiano postulato sino alla sua massima estensione settentrionale[18]. Anche se il suo utilizzo in geologia preceda la teoria tettonica, il termine ha veduto un suo maggior utilizzo a partire dagli anni '70 del '900[19].

Regni indianizzati

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Il concetto di regni indianizzati descritto dallo storico ed archeologo francese George Coedès si basa sulle influenze culturali ed economiche indù e buddhiste nel Sud-est asiatico[20]. Il Regno di Butuan nell'arcipelago filippino, il regno del Champa, l'epoca conosciuta come "periodo Dvaravati", il Regno del Funan, Gangga Negara, Kadaram (il moderno Kedah), il regno di Kalingga, la regione del Kutai, il regno indo-malese di Langkasuka, il Regno di Thaton ed il Regno di Pagan nei territori dell'odierna Birmania, Pan Pan, Po-ni (l'attuale Brunei), Tarumanagara ed il Regno di Tondo furono tra i primi stati e periodizzazioni storiche a forte predominanza indù presenti nel Sud-est asiatico, stabilitisi per la maggior parte a partire intorno ai primi quattro secoli dell'era volgare.

Pur essendo culturalmente affini alla cultura indiana, essi erano indigeni ed indipendenti dall'India. Stati come Srivijaya, l'Impero di Majapahit e l'Impero Khmer si svilupparono in territori autonomi ed avevano economie che rivaleggiavano con quella indiana. Borobudur sull'isola di Giava, ad esempio, è il più grande monumento buddhista mai costruito[21]. Coedès è stato però anche aspramente criticato per aver sottovalutato l'elemento prettamente indigeno di questi vari regni, in un'eco inconsapevole del progetto europeo di "missione civilizzatrice"[22].

Il professore francese Robert Lingat, assieme forse al giurista statunitense John Henry Wigmore, è stato il più grande e quasi l'unica autorità sulla storia del diritto siamese[23]; entrambi hanno teso a sottolineare il contributo svolto dalle società del sudest asiatico per il ruolo e la formazione dei loro regni. In particolare, dove Coedès vedeva i mercanti indiani come fondatori di questi Stati, Lingat considera invece fondatori i governanti di quei territori, che solo in seguito avrebbero importato i brahmini nella loro qualità di specialisti dei rituali indiani, come consulenti del Dharma o delle pratiche di regalità indiane. Quest'ultimo punto di vista viene anche sostenuto dalla tesi secondo la quale i commercianti indiani non avrebbero posseduto la conoscenza rituale necessaria, quella che è poi diventata così importante all'interno di queste società[24].

Tali regni hanno presto sviluppato una stretta affinità con le pratiche religiose indiane, ma anche culturali ed economiche, senza forzature provenienti dai governanti dei regni indiani. La questione rimane comunque controversa; H. G. Quaritch Wales (1900-81), in particolare, ha avanzato[25] l'ipotesi che l'indianizzazione sia stata opera di mercanti indiani e commercianti in contrasto con i relativi leader politici, anche se i grandi viaggi compiuti dai monaci buddhisti come Atisha divennero in seguito di fondamentale importanza.

Ci fu anche un mercante di nome Magadu, passato alla storia come Wareru e fondatore del Regno di Hanthawaddy, che commissionò al gruppo etnico dei mon specialista di tradizioni indiane, il compito di compilare il cosiddetto "Codice di Wareru", che ha costituito la base per il diritto comune in Birmania fino ai giorni nostri. I regni maggiormente indianizzati combinavano sia credenze indù sia pratiche buddhiste in una maniera che si richiama al sincretismo. Kertanagara, l'ultimo re di Singhasari, si è a questo proposito descritto come "Sivabuddha", incarnazione contemporanea del dio induista Śiva e del Buddha[26].

I vari governanti del Sud-est asiatico adottarono con entusiasmo gli elementi del "rajadharma" (il dharma dei Raja, con credenze indù e buddista, componente i codici socio-religiosi e le pratiche giudiziarie) per legittimare il proprio dominio e le città allora costruite, come Angkor, per affermare il potere reale riproducevano una mappa dello spazio sacro derivato dalle descrizioni del Rāmāyaṇa e del Mahābhārata. Essi inoltre frequentemente adottavano lunghi titoli in lingua sanscrita, mentre i nomi delle città da loro fondate, come Ayutthaya in Thailandia, capitale dell'omonimo regno, erano presi dai nomi di quelle presenti nei poemi epici indiani.

Le relazioni culturali e commerciali tra la potente dinastia Chola dell'India meridionale e i regni locali indù portarono il golfo del Bengala ad essere denominato "lago Chola", mentre l'aggressione dei Chola contro l'Impero Srivijaya avvenuta nel 1025, l'unico attacco militare indiano contro il Sud-est asiatico, fu dovuto all'espansione marittima dei Chola che trovò come ostacolo la talassocrazia di Srivijaya. L'Impero Pala del Bengala, che controllava il cuore della diffusione buddhista in India, mantenne sempre stretti legami economici, culturali e religiosi con quelle zone, in particolare proprio con Srivijaya.

Regni di terraferma

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  • Langkasuka (dalla lingua sanscrita langkha indicante la "terra risplendente" e sukkha "felicità") era un antico regno indù che si trovava nella penisola malese. Insieme all'insediamento della antica Kedah, è probabilmente uno dei primi appigli territoriali indù fondati nella regione. Secondo la tradizione, la fondazione dello Stato sarebbe avvenuta nel II secolo; alcune leggende malesi sostengono che Langkasuka sia stata fondata a Kedah, e che solo più tardi trasferì la capitale nella zona di Pattani.
  • Il Regno del Funan era una comunità politica comprendente la parte più meridionale della penisola indocinese durante il periodo che intercorre tra il I ed il VI secolo ed aveva il suo centro di potere nel delta del Mekong[27]. Funan è nota per esser stata la più antica cultura indù presente in questo territorio, il che suggerisce una prolungata interazione socio-economica con i partner commerciali marittimi provenienti dall'ovest[28].
Le idee culturali e religiose indiane avevano raggiunto Funan tramite le vie commerciali che attraversavano l'Oceano Indiano, ma il vero e proprio commercio con l'India aveva avuto inizio ben prima del 500 a.C. in quanto la lingua sanscrita indù non era ancora stata sostituita dalla lingua pāli[28] più buddhista. L'autore indiano Mishra Pragya, nel suo saggio Storia culturale della diaspora indiana in Cambogia, sostiene che "Funan era una delle colonie stabilite dagli indiani in Cambogia"[29]. È stato infine determinato come la lingua in Funan fosse di derivazione diretta dal sanscrito e sia stata espressa con una scrittura che fu alla base dell'alfabeto khmer[30].
  • Il Regno di Chenla è stato il sistema politico succeduto a quello di Funan ed esistette dal tardo VI secolo fino agli inizi del IX secolo in Indocina, precedendo l'impero dei Khmer. Come il suo predecessore Funan, anche Chenla occupava una posizione strategica in cui le principali rotte commerciali marittime indiane e quelle della sfera culturale dell'Asia orientale convergevano, con conseguente prolungata influenza socio-economica e culturale; oltretutto anche con l'adozione del sistema di scrittura epigrafico dell'India meridionale utilizzato dalla dinastia Pallava e dai Chalukya[29][31][32].
Il primo sovrano di Chenla, Vīravarman, adottò l'idea di regalità divina ed ampliò il concetto di Harihara, il dio sincretico indù "che ha incarnato le molteplici nozioni del potere". I suoi successori continuarono questa tradizione, obbedendo in tal maniera al codice di condotta delle Manusmṛti (Le Leggi di Manu) per la casta guerriera dei Kshatriya e trasmettendone l'idea di autorità politica e religiosa[33].
  • Il regno di Champa (o Lin-yi come viene definito nei registri cinesi) controllava quello che oggi è il centro e il sud del Vietnam, per un periodo di tempo che va dal VII fino a quasi il XVIII secolo. La religione dominante del popolo Chăm fu l'induismo e tutta la sua cultura è stata fortemente influenzata dalla cultura dell'India. In seguito venne conquistato dai vietnamiti, e da allora quel territorio fu conosciuto come Đại Việt.
  • L'Impero Khmer è stato istituito con un'iniziazione e mitica cerimonia di consacrazione che ne rivendicava la legittimità politica a partire dal suo fondatore Jayavarman II, avvenuta sulla cima del Phnom Kulen (o monte Mahendra) nell'anno 802[34]. Una serie di potenti sovrani, continuando il tradizionale culto indù di Devaraja, regnò per tutto il periodo classico della civiltà Khmer fino all'XI secolo.
Una nuova dinastia di origine provinciale introdusse successivamente il buddhismo, producendo una discontinuità religiosa nella casa regnante, col risultato di un sempre più ampio decentramento[35]. L'Impero ebbe fine nel XIV secolo, quando i Khmer furono ridimensionati e diedero vita al Regno di Cambogia, finendo per abbandonare la gloriosa capitale Angkor ed entrando in un lungo periodo di vassallaggio ai vicini siamesi e vietnamiti. L'amministrazione, l'agricoltura, l'architettura, l'idrologia, la logistica, la pianificazione urbanistica e le arti in genere ebbero nel periodo imperiale un alto grado di sviluppo e raffinatezza nelle esecuzioni artistiche, realizzate sulla base di un'espressione distinta ed autonoma della cosmologia induista[36].

Regni insulari

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  • Srivijaya: dal VII al XIII secolo fiorì quest'impero marittimo incentrato sull'isola di Sumatra in Indonesia, avendo adottato il buddhismo Mahāyāna e Vajrayana sotto una linea di governanti che vanno da Dapunta Hyang Sri Jayanasa sino alla dinastia dei Sailendra. Roccaforte del "veicolo di diamante" Vajrayana, Srivijaya attrasse pellegrini e studiosi provenienti da molte altre parti dell'Asia; Il libro cinese de I Ching riferisce che il regno avesse ospitato più di mille studiosi buddhisti. Uno dei più notevoli saggi buddhisti di origine locale, Dharmakirti, insegnò filosofia buddhista a Srivijaya ed a Nālandā, divenendo inoltre uno dei maestri di Atisha.
Per la maggior parte della sua durata temporale quest'impero malay poté godere di un rapporto cordiale sia con la Cina sia con l'impero Pala del Bengala, prova ne sono le quasi 860 iscrizioni che il maharaja Balaputra fece incidere e dedicare ad un monastero situato proprio nei pressi dell'università buddhista di Nalanda in territorio Pala. Il regno cessò di esistere nel corso del XIII secolo a causa di vari fattori, tra cui l'espansione degli imperi giavanesi Singhasari e Majapahit.
  • Regno di Medang o Mataram: fiorì tra l'VIII e l'XI secolo; inizialmente posizionato a Giava Centrale, per poi trasferirsi a Giava occidentale. Questo regno ha prodotto un gran numero di Mandir e complessi templari buddhisti, tra cui Borobudur e Prambanan, un tempio induista dedicato specificamente al dio della Trimurti Shiva. I Saliendra sono stati la famiglia regnante di questo territorio nella sua prima fase, per poi essere sostituiti dalla dinastia induista Isyana.
  • Impero Majapahit: quest'impero si sviluppò nella parte più ad occidente dell'isola di Giava ed è succeduto a quello Singhasari, fiorendo nell'intero arcipelago indonesiano tra il XIII e il XV secolo. Questi giavanesi furono celebri per la propria espansione in campo navale da ovest verso est, all'incirca da Lamuri in Aceh per finire a Wanin in Papua. Majapahit è stato uno degli ultimi e più grandi imperi indù marittimi del sudest asiatico; la maggior parte della cultura indù dei balinesi è stata prodotta e deriva direttamente dall'impero Majapahit; un gran numero di nobili, sacerdoti ed artigiani hanno trovato rifugio a Bali dopo il declino causato dall'ascesa del sultanato di Demak.
  • Regno di Tondo

Sfera culturale indiana

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Espansione dell'induismo nel Sud-est asiatico.

L'uso del termine "Grande India" per far riferimento alla sfera culturale indiana in gran parte del Sud-est asiatico è stato reso popolare da una rete di studiosibengalesi nel corso degli anni '20 del XX secolo, tutti membri della "Greater India Society" di Calcutta. Tra i primi leader di questo movimento vengono inclusi lo storico RC Majumdar (1888-1980), Suniti Kumar Chatterji (1890-1977), Prabodh Chandra Bagchi (18989-1956), ed infine gli storici Phanindranath Bose e Kalidas Nag (1891-1966)[38][39].

Alcune delle loro formulazioni teoriche sono state ispirate dagli scavi concomitanti svoltisi ad Angkor da parte di archeologi francesi e dagli scritti dello studioso di indologia nonché storico delle religioni Sylvain Lévi. Gli studiosi della società hanno postulato l'idea di un'antica benevola colonizzazione culturale indiana del Sud-est asiatico, del tutto in netto contrasto a loro avviso col colonialismo del XX secolo di stampo occidentale[40][41][42].

Il termine "Grande India" e la nozione esplicita di una colonizzazione indù del Sud-est asiatico sono stati collegati sia al nazionalismo indiano[43] sia a quello più specificamente religioso indù[44]. Tuttavia molti nazionalisti indiani, come Jawaharlal Nehru e Rabindranath Tagore, anche se ricettivi ad un'idealizzazione dell'India quale modello benigno di civilizzazione e fonte non coercitiva di illuminazione globale[45], sono rimasti distanti dalle ben più esplicite formulazioni di "indianizzazione del sudest asiatico", ovvero del concetto di Grande India[46]. Inoltre alcuni studiosi hanno veduto anche il modello di acculturazione induista/buddhista nell'antico Sud-est asiatico come un unico processo culturale in cui il secondo era la matrice e l'Asia meridionale la mediatrice[47].

Nel campo della storia dell'arte, soprattutto negli scritti americani, il termine è vissuto più a lungo a causa dell'influenza data dallo storico dell'arte Ananda Coomaraswamy, il cui punto di vista di un'arte pan-indiana è stata influenzata dai nazionalisti culturali della società di Calcutta[48].

Espansione culturale

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Comunanze culturali

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La diffusione della cultura indiana è dimostrata attraverso un gran numero di esempi. Una delle prove più tangibili della comunanza nella tradizione dharmica è molto probabilmente la diffusione dell'"Anjali Mudra" o Pranamasana, usato come gesto di saluto e di rispetto; è anche dimostrato che l'indiano Namasté ed altri gesti simili sono diffusi nell'intero Sud-est asiatico, in quanto affini al cambogiano sampeah, all'indonesiano sembah e al thailandese Wai (saluto).

Per quel che riguarda la religione, la mitologia ed il folklore, possiamo dire che:

  • L'induismo è ancor oggi praticato dalla maggioranza della popolazione dell'isola di Bali in Indonesia[49].
  • Garuḍa, una figura della mitologia indiana, è presente negli stemmi dell'Indonesia, della Thailandia e di Ulan Bator.
  • Il Muay thai, un'arte di combattimento, è la versione thailandese dello stile di combattimento indù Musti-yuddha.
  • Kaharingan, una religione popolare indigena seguita dalle persone Dayak del Borneo, viene classificata come una delle forme di induismo presenti in Indonesia.
  • La Mitologia filippina include il dio supremo Bathala (divinità) e il concetto di Diwata con la convinzione ancora ricorrente nel Karma; tutti derivati da concetti filosofico-religiosi indù-buddisti.
  • Il folklore malese contiene una ricca serie di personaggi mitologici indiani molto influenti, come Bidadari o Apsaras, Jaṭāyu, Garuda e i Nāga.
  • La tradizione del teatro delle ombre Wayang Kulit e i drammi raccontati attraverso la danza classica di Indonesia, Cambogia, Malesia e Thailandia hanno storie tratte da episodi del Rāmāyaṇa e del Mahābhārata.

Per quanto concerne l'architettura e i monumenti lo stesso stile architettonico dei templi indù è stato utilizzato in diversi antichi Mandir del sudest asiatico, tra cui Angkor Wat, che era stato dedicato al dio indù Visnù e viene visualizzato sull'attuale bandiera della Cambogia; ma anche Prambanan in Giava Centrale - il più grande tempio indù presente in Indonesia - è dedicato alla Trimurti composta da Brahmā-Visnù-Shiva.

Il complesso di Borobudur, anch'esso nel centro di Giava, è il più grande monumento buddhista del mondo.

Influenza linguistica

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Comunanze linguistiche

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  12. ^ Beazley, 1910, p. 708 Quote: "Azurara's hyperbole, indeed, which celebrates the Navigator Prince as joining Orient and Occident by continual voyaging, as transporting to the extremities of the East the creations of Western industry, does not scruple to picture the people of the Greater and the Lesser India welcoming his ships (which never passed beyond Sierra Leone), praising his generosity, and even experiencing his hospitality."
  13. ^ Beazley, 1910, p. 708 Quote: "Among all the confusion of the various Indies in Mediaeval nomenclature, "Greater India" can usually be recognized as restricted to the "India proper" of the modern world."
  14. ^ a b c Martin W. Lewis, Kären Wigen, 1997, p. 274
  15. ^ Wheatley, 1982, p. 13 Quote: "From the time when Southeast Asia first rose above their horizon, Europeans—the infinitesimal number of them who cared about such matters, that is—tended to treat that vague and insubstantial region beneath the sunrise as simply a more distant part of India. This practice went back at least to Claudius Ptolemy or, possibly, one of his redactors, who subsumed a good part of the region under the rubric "Trans-Gangetic India." Subsequently the whole area came to be identified with one of the "Three Indies," though whether India Major or Minor, Greater or Lesser, Superior or Inferior, seems often to have been a personal preference of the author concerned. When Europeans began to penetrate into Southeast Asia in earnest, they continued this tradition, attaching to various of the constituent territories such labels as Further India or Hinterindien, the East Indies, the Indian Archipelago, Insulinde, and, in acknowledgment of the presence of a competing culture, Indochina."
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    «"Colonial and Cultural Expansion (of Ancient India)",[senza fonte]»
    written by R. C. Majumdar, concluded with: "We may conclude with a broad survey of the Indian colonies in the Far East. For nearly fifteen hundred years, and down to a period when the Hindus had lost their independence in their own home, Hindu kings were ruling over Indo-China and the numerous islands of the Indian Archipelago, from Sumatra to New Guinea. Indian religion, Indian culture, Indian laws and Indian government moulded the lives of the primitive races all over this wide region, and they imbibed a more elevated moral spirit and a higher intellectual taste through the religion, art, and literature of India. In short, the people were lifted to a higher plane of civilisation."
  40. ^ Bayley, 2004, p. 712
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  42. ^ (EN) Lyne Bansat-Boudon, Roland Lardinois e Isabelle Ratié, Sylvain Lévi (1863-1935), Brepols, 2007, p. 196, ISBN 9782503524474.
    «"The ancient Hindus of yore were not simply a spiritual people, always busy with mystical problems and never troubling themselves with the questions of 'this world'... India also has its Napoleons and Charlemagnes, its Bismarcks and Machiavellis. But the real charm of Indian history does not consist in these aspirants after universal power, but in its peaceful and benevolent Imperialism—a unique thing in the history of mankind. The colonisers of India did not go with sword and fire in their hands; they used... the weapons of their superior culture and religion... The Buddhist age has attracted special attention, and the French savants have taken much pains to investigate the splendid monuments of the Indian cultural empire in the Far East»
  43. ^ Keenleyside, 1982, pp. 213–214 Quote: "Starting in the 1920s under the leadership of Kalidas Nag-and continuing even after independence-a number of Indian scholars wrote extensively and rapturously about the ancient Hindu cultural expansion into and colonisation of South and Southeast Asia. They called this vast region "Greater India"–a dubious appellation for a region which to a limited degree, but with little permanence, had been influenced by Indian religion, art, architecture, literature and administrative customs. As a consequence of this renewed and extensive interest in Greater India, many Indians came to believe that the entire South and Southeast Asian region formed the cultural progeny of India; now that the sub-continent was reawakening, they felt, India would once again assert its non-political ascendancy over the area.... While the idea of reviving the ancient Greater India was never officially endorsed by the Indian National Congress, it enjoyed considerable popularity in nationalist Indian circles. Indeed, Congress leaders made occasional references to Greater India while the organisation's abiding interest in the problems of overseas Indians lent indirect support to the Indian hope of restoring the alleged cultural and spiritual unity of South and Southeast Asia."
  44. ^ Thapar, 1968, pp. 326–330 Quote: "At another level, it was believed that the dynamics of many Asian cultures, particularly those of Southeast Asia, arose from Hindu culture, and the theory of Greater India derived sustenance from Pan-Hinduism. A curious pride was taken in the supposed imperialist past of India, as expressed in sentiments such as these: "The art of Java and Kambuja was no doubt derived from India and fostered by the Indian rulers of these colonies." (Majumdar, R. C. et al. (1950), An Advanced History of India, London: Macmillan, p. 221) This form of historical interpretation, which can perhaps best be described as being inspired by Hindu nationalism, remains an influential school of thinking in present historical writings."
  45. ^ Bayley, 2004, pp. 735–736 Quote:"The Greater India visions which Calcutta thinkers derived from French and other sources are still known to educated anglophone Indians, especially but not exclusively Bengalis from the generation brought up in the traditions of post-Independence Nehruvian secular nationalism. One key source of this knowledge is a warm tribute paid to Sylvain Lévi and his ideas of an expansive, civilising India by Jawaharlal Nehru himself, in his celebrated book, The Discovery of India, which was written during one of Nehru’s periods of imprisonment by the British authorities, first published in 1946, and reprinted many times since.... The ideas of both Lévi and the Greater India scholars were known to Nehru through his close intellectual links with Tagore. Thus Lévi’s notion of ancient Indian voyagers leaving their invisible ‘imprints’ throughout east and southeast Asia was for Nehru a recapitulation of Tagore’s vision of nationhood, that is an idealisation of India as a benign and uncoercive world civiliser and font of global enlightenment. This was clearly a perspective which defined the Greater India phenomenon as a process of religious and spiritual tutelage, but it was not a Hindu supremacist idea of India’s mission to the lands of the trans-gangetic Sarvabhumi or Bharat Varsha."
  46. ^ Harv, Narasimhaiah Quote: "To him (Nehru), the so-called practical approach meant, in practice, shameless expediency, and so he would say, "the sooner we are not practical, the better". He rebuked a Member of Indian Parliament who sought to revive the concept of Greater India by saying that ‘the honorable Member lived in the days of Bismarck; Bismarck is dead, and his politics more dead!' He would consistently plead for an idealistic approach and such power as the language wields is the creation of idealism—politics’ arch enemy—which, however, liberates the leader of a national movement from narrow nationalism, thus igniting in the process a dead fact of history, in the sneer, "For him the Bastille has not fallen!" Though Nehru was not to the language born, his utterances show a remarkable capacity for introspection and sense of moral responsibility in commenting on political processes."
  47. ^ Wheatley, 1982, pp. 27–28 Quote: "The tide of revisionism that is currently sweeping through Southeast Asian historiography has in effect taken us back almost to the point where we have to consider reevaluating almost every text bearing on the protohistoric period and many from later times. Although this may seem a daunting proposition, it is nonetheless supremely worth attempting, for the process by which the peoples of western Southeast Asia came to think of themselves as part of Bharatavarsa (even though they had no conception of "India" as we know it) represents one of the most impressive instances of large-scale acculturation in the history of the world. Sylvain Levi was perhaps overenthusiastic when he claimed that India produced her definitive masterpieces—he was thinking of Angkor and the Borobudur—through the efforts of foreigners or on foreign soil. Those masterpieces were not strictly Indian achievements: rather were they the outcome of a Eutychian fusion of natures so melded together as to constitute a single cultural process in which Southeast Asia was the matrix and South Asia the mediatrix."
  48. ^ Guha-Thakurta, 1992, pp. 159–167
  49. ^ Balinese Religion Archiviato il 10 marzo 2010 in Internet Archive., su ucsm.ac.uk

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Collegamenti esterni

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