di Marta Serafini - @martaserafini
Il giornalismo come dovrebbe essere. E’ il filo rosso della decima edizione del Festival dedicato al mondo dell’informazione in programma a Perugia dal 6 al 10 aprile. Lo ha spiegato l’organizzatrice Arianna Ciccone nel corso della presentazione che si è tenuta ieri nel capoluogo umbro. Si parlerà quindi di migranti, guerre, terrorismo, rinascita dei nazionalismi, Europa in crisi e nuove sfide della democrazia, privacy e sorveglianza di massa, libertà di espressione e lotta contro la censura, ruolo delle organizzazioni non governative nel coprire territori di guerra.
Saranno presentati così anche quelli che vengono considerati importanti esempi di giornalismo sul campo in Paesi «difficili». Il pubblico e i 500 speaker in arrivo da tutto il mondo (34 nazioni diverse) saranno impegnati ad affrontare questi temi. Per gli organizzatori della manifestazione, infatti, il giornalismo è principalmente «partecipazione e conversazione» e quindi la cifra distintiva del festival rimane «la voglia diconfrontarsi, il bisogno di raccontare storie, l’importanza fondamentale di condividere esperienze». Da tutto il mondo, 19 Paesi, arriveranno anche i volontari, quest’anno circa 200.
A Perugia tornerà il più importante media event del panorama internazionale, come viene ormai considerato, con 200 appuntamenti tutti ad ingresso libero e in live streaming. Quattro i talk previsti, sul mondo del giornalismo che cambia e sulla battaglia per la democrazia e la libertà di informazione, ed affidati a personalità molto diverse tra loro: Mark Little, vicepresidente media per Europa e Africa di Twitter, interverrà con un incontro su Twitter, piattaforma che ha rivoluzionato le news; Peter Greste, arrestato in Egitto insieme ad altri colleghi giornalisti di Al Jazeera, parlerà di «guerra al terrore e guerra alla libertà di informazione»; Hossein Derakhshan, pioniere dei blog in Iran, affronterà il tema del giornalismo nell’era post-web; Iyad El-Baghdadi infine affronterà la questione della Primavera araba. Per la prima volta, inoltre, il prestigioso Centro per il giornalismo digitale della Columbia Journalism School (Cjs) ha organizzato direttamente alcuni panel nell’ambito del festival. Previsto a Perugia anche un incontro con il collettivo di attivisti anti Isis «Raqqa is Being Slaughtered Silently» (Rbss).
Oltre 80 invece i dibattiti con temi come il trauma dei giornalisti che lavorano con video e immagini cruente, il dopo Snowden, la censura in Turchia e la guerra silenziosa nello Yemen. Ma anche come fare giornalismo di inchiesta in Italia con le giornaliste del Corriere della Sera Amalia De Simone e Fiorenza Sarzanini. E poi ancora workshop, presentazioni, spettacoli-incontri a teatro (tra cui: Diego Bianchi, Beppe Severgnini, Fedez), film e documentari, presentazioni di libri e dirette radiofoniche da Perugia.

L’Isis dichiara guerra alla Silicon Valley, prendendo di mira due delle società simbolo, Facebook e Twitter. In un video di 25 minuti, scoperto da Vocativ, lo Stato islamico minaccia direttamente Mark Zuckerberg e Jack Dorsey: «Presto i vostri nomi spariranno dopo che avremo cancellato i vostri siti e, Allah volendo, saprete che quello che stiamo dicendo è la verità». (continua…)

Gli Stati Uniti ci riprovano ma senza successo. “Don’t be a puppet” (“non essere una marionetta”) è il titolo scelto dall’Fbi per il suo nuovo sito . Obiettivo, contrastare la propaganda di Isis e il reclutamento in rete che più di ogni altro gruppo terroristico ha saputo usare la tecnologia, scimmiottando videogame e cultura geek, per adescare i giovani e convincerli a partire per la Siria e l’Iraq.

Tra una scheda sui gruppi terroristici e le indicazioni su come fare e a chi rivolgersi se si viene contattati da un reclutatore, in una sezione del portale, si trova un videogame dal titolo Slippery Slope, in cui una capretta deve evitare alcuni ostacoli e mucchi di pietra.  Il messaggio è chiaro: evitare che i giovani credano alla visione del mondo proposta dallo Stato Islamico. Peccato che la grafica e il livello di sofisticatezza tecnologica messi in campo dal Federal Bureau siano davvero poca cosa, soprattutto se paragonati a quelli dei terroristi, che davvero senza sosta vengono prodotti materiali multimediali di ogni tipo mettendo al centro dei loro “prodotti” violenza e terrore. Siti di tech come Gizmodo (ma anche lo stesso Guardian) hanno sottolineato come per combattere la propaganda jihadista serva ben altro. Di fronte a filmati che si ispirano a videogame diffusissimi come Grand Theft Auto o a film d’annata come il Leone del deserto, non possiamo dunque pensare di vincere mettendo in rete videogame e  siti che sembrano vecchi di dieci anni o che hanno l’appeal per i giovani di una lezione di scienze.

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Tornano  Dig Awards, premi internazionali dedicati al giornalismo d’inchiesta video che saranno assegnati a Riccione durante il Dig Festival, in programma dal 23 al 25 giugno 2016. Tante le novità di questa edizione del concorso, nato dalla ventennale esperienza del Premio Ilaria Alpi e organizzato dall’Associazione Documentari Inchieste Giornalismi.

Aumentano le categorie di concorso, ben sei. Da segnalare la sezione Focus on Italy, che assegna un premio di produzione di 20.000 euro al miglior progetto d’inchiesta video dedicato all’Italia (iscrizioni aperte fino al 16 maggio). Il vincitore è scelto in una sessione  in cui gli autori presentano il loro progetto alla giuria e a una platea composta da società di produzione, distributori e rappresentanti dell’autorevole Journalism Fund. Il tutto mentre sono già due i progetti del 2015 trasformati in inchieste tv: il vincitore Italian offshore, sulle trivellazioni al largo delle coste italiane, e Follow the paintings, sui traffici illeciti nel mondo dell’arte.

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Twitter inasprisce le sue regole su incitamento all’odio e terrorismo. Il microblog, che ha fatto del 2015 un anno di svolta nella lotta agli abusi tramite la sua piattaforma e che ha subito anche minacce dirette da parte dei jihadisti di Isis, annuncia di aver nuovamente aggiornato le regole di condotta inasprendo il divieto di minacce violente da parte degli utenti. La mossa  arriva dopo gli inviti di leader mondiali ai social a rafforzare la vigilanza in chiave anti-attentati. E dopo che i governi hanno chiesto aiuto ai colossi del tech per arginare la propaganda jihadista che ha fatto della rete e dei social network uno dei suoi canali più efficaci. Ma non solo. Anche i competitor di Twitter si sono mossi in questo senso per evitare che la presenza di contenuti violenti faccia scappare gli investitori.

Mentre Twitter, Facebook, Google (e di recente anche Telegram) rimuovono senza sosta gli account della propaganda jihadista, prendono sempre più piede i Tumblr di Isis. Tumblr è una piattaforma di microblogging e social networking, nata nel 2007 e acquistata nel 2013 da Yahoo! per volere di Marissa Mayer. Dato il suo stile immediato, è molto popolare tra le adolescenti, motivo per cui lo Stato Islamico ne fa sempre più uso. E se già l’anno scorso molto era circolato tra gli studiosi di terrorismo e i giornalisti il link del Diary of a Muhajirah che raccontava la vita di una giovane sposa del Califfato in termini entusiastici,  ora sono nati nuovi siti. (continua…)

Il caso di #BrusselsLockdown è solo l’ultimo esempio. Oltre i gattini postati dagli utenti in risposta alla richiesta dalla polizia belga di silenzio, da tempo ormai gli utenti di tutto il mondo usano i social network per costruire una contro-narrativa alla propaganda dello Stato Islamico. Secondo molti è infatti l’ironia la risposta migliore ai proclami di morte che i jihadisti postano sulle bacheche e le piattaforme che usiamo tutti i giorni. (continua…)

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Fuori dai radar. È così che i terroristi di Parigi hanno comunicato tra loro e con i vertici di Isis: attraverso messaggi cifrati. A più di una settimana dalla strage non è ancora chiaro quale mezzo di comunicazione i jihadisti abbiano usato per progettare e portare a termine i raid. «Gli attacchi sono stati pianificati sotto il naso della polizia belga e francese», ha scritto il Wall Street Journal.

«I terroristi prima di entrare in azione si sono scambiati degli sms», è la notizia che è trapelata nei giorni successivi. Speculazioni sono anche circolate sulla possibilità che i terroristi abbiano usato le chat del network della Playstation per dialogare. Ma si tratta solo di ipotesi che per il momento non trovano nessuna conferma e, anzi, la maggior parte delle volte sono state smentite.

In tanta incertezza, un dato certo c’è. Isis è  il gruppo terroristico più avanzato a livello tecnologico. Non è un caso che la divisione cyber del Califfato abbia tentato di creare un suo social network (Kilafahbook). E non è certo per gioco che negli ultimi mesi sono stati diffusi manuali scritti e video in inglese e in arabo per spiegare alle reclute come evitare di essere rintracciati. «Così possiamo eludere il controllo dei crociati», scriveva un jihadista in rete. In febbraio nel Califfato sono stati messi al bando gli iPhone perché considerati troppo vulnerabili sotto il profilo della tracciabilità. Inoltre Isis ha stilato una vera e propria classifica delle app sicure e di quelle a rischio. Nel primo gruppo rientrano Wickr, Threema, Surespot e Signal. A renderle più appetibili è infatti una caratteristica che di per sé è gradita a tutti. A differenza di WhatsApp, Line e Viber, privilegiano la privacy dei loro utenti e mantengono su un livello protetto le conversazioni.

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